«Ovunque, in tutta la realtà accessibile e in ogni essere, è necessario trovare il luogo sacrificale, la ferita. Ogni essere è toccato solo nel punto in cui soccombe: una donna sotto la sua gonna, un dio nella gola dell’animale sacrificale» [G. Bataille, L’amicizia, SE, 1999 Milano, p. 18]
L’autoritratto è sempre stato uno sdoppiarsi, un modo per l’artista di vedersi attraverso un altro, un doppio. Si tratta di riflettere e di fare il punto della situazione sullo “stato dell’arte”, vale a dire sulle condizioni attuali della creazione. Lo specchio in cui il pittore si rimira è la capacità di creare visioni. Saremmo troppo semplici se pensassimo che ritraendosi l’artista volesse semplicemente presentarsi, o mostrarsi, o coincidere con sé; egli vuole dare conto di ciò che gli permette di uscire da sé: che cosa è la visione se non il divenire altro, se…
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è piuttosto impressionante per la ricchezza di particolari: la cerniera con il cerotto strappato visibile, la manetta, il rosso del sangue fresco, la mano tenuta come artiglio sopra il rapace (simbolo fortissimo di sessualità) …
è lo sguardo che mi risulta indecifrabile, una sorta di maschera …sembri a tuo agio 🙂
mi piace questo esporsi del corpo dell’anima!
ciao Daniele, continua così 🙂
Grazie Carla per il tuo passaggio di qui e per le tue considerazioni.
Soltanto la nudità può svelare il nostro essere-altro costitutivo, o meglio il denudamento, il toglierci gli abiti. È una condizione necessaria per creare in maniera autentica.
Un abbraccio
A presto